“Finta Pelle”, il ‘memoir’ di Saverio Fattori tra dipendenze e ossessioni

BOLOGNA – Un adolescente schiacciato dalla vita in paese, tra tossicodipendenza e i giorni al bar della stazione, insieme agli altri tossicodipendenti. L’adolescente che diventa adulto: stesso paese, un lavoro insignificante: “Ne uscii vivo dal bar della stazione, come la maggior parte di noi, ma nessuno ne uscì felice”. E alla droga si sostituisce la dipendenza dal sesso, quello cercato nei siti di appuntamenti. Così il protagonista, Ale67 (è il nickname che usa sul sito) conosce Delphi70, una donna che sembra avere una vita molto più banale, ma che in realtà scivola giorno dopo giorno nello sgretolamento della realtà in cui pensava di vivere. Una storia decisamente estrema, ma al tempo stesso struggente, quella di “Finta Pelle” (Marsilio Editori), ultima opera di Saverio Fattori, un finto memoir che nel finale saprà sorprendere il lettore.

Ma cos’è la dipendenza per Fattori?

“C’è una canzone dei Baustelle, gruppo che adoro, ‘Betty’, che così recita: ‘Che cos’è la vita senza Una dose di qualcosa Una dipendenza’, che potrebbe essere ben funzionale per una risposta”. Insomma, “desideri forti per persone che giocano con la proprio fragilità, la dolcezza dell’arrendersi; in realtà ci si abbandona alle dipendenze quando fondamentalmente non ci piacciamo, quando la retorica del ‘Che bello cercare e ritrovare se stessi’ non ci convince affatto”. Le dipendenze, prosegue Fattori, “servono a distrarci da una realtà che non ci piace, da uno stato delle cose che non ci soddisfa, per colpa nostra o per colpe che attribuiamo più a un contesto, a un sistema. Sta di fatto che per me il termine ‘dipendenza’ è direttamente correlato al termine ‘ossessione’, magari sbaglio, ma per me questo è. E le ossessioni in letteratura aiutano, aiutano a trovare nella narrazione una voce interna interessante, che non scada nella correttezza e in un generico buon senso, a uscire da punti di vista banali”.

“Finta pelle” arriva in un momento in cui si è tornati a parlare di tossicodipendenza, dopo la serie su San Patrignano. In questo libro però si parla di drogati che non hanno avuto nessuna esperienza di comunità. Eppure si sono salvati, o condannati, da soli, la comunità viene identificata, come in ‘in un milione di piccoli pezzi’, nella sostituzione di una dipendenza con un’altra.

“In una mezza paginetta mi occupo dell’aspetto Comunità, ed è una delle parti, incredibile a dirsi, ironiche del libro, liquido insomma la faccenda senza approfondirla, e lo faccio di proposito:

Quelli usciti dalle comunità li riconoscevi subito, avevano lo sguardo perso all’orizzontee bevevano chinotto. Perché già nella Coca-Cola era insitoqualcosa di illegale… Negiravano pochi di questi lobotomizzati, quei pochi arrivavanodalla città, come zombi, scendevano dai trenidelle Ferrovie Venete, ci portavano il loro verbo introducendocialle gioie del chinotto, ma la frase magica era sempre:”Anch’io ero come te.» E tu avresti voluto rispondere:manco per il cazzo. Poi seguiva la conta. Sono pulitoda, metti, centoventi giorni, vivo un giorno alla volta. E tuavresti voluto rispondere: sai che bello vivere segnandouna × sul calendario, come se l’esistenza fosse una condannache doveva solo passare, senza gioie, con la sola soddisfazionedi assistere da spettatori alla propria vita di merda.Con l’aggravante insopportabile di seguirla lucidi e sobri”.

Fattori prosegue: “Riconosco di aver trattato la faccenda in modo superficiale, tra l’altro ho davvero amato la docuserie SanPa, ma io nel libro mi occupo dell’eroina come stato delle cose senza curarmi affatto della soluzione, descrivo quello che c’era prima di quel cancello dei miracoli sulle colline riminesi, tratto l’eroina come scelta, seppur sbagliatissima, metto i morti, nel libro almeno tre, in tre diverse modalità, l’eroina ammazzava in vari modi, quindi tratto la disperazione, certo, ma non tratto mai l’eroinomane come ‘zombie’”. In qualche modo, spiega Fattori, la droga “era una scelta seppur estrema e dilaniante, ma comunque una scelta, si trattava di uscire dalle meccaniche sociali che sembrano esse stesse una prigione. E a metà degli anni Ottanta a volte il giovane tossico non era visto sempre come una sorta di barbone, anzi”. Infatti, “ho riportato una certa mitologia del tossico bello e perduto che non arriverà mai all’età adulta e brucerà in fretta. Nel mio libro non c’è redenzione, per questo le comunità terapeutiche non ci potevano entrare”. Dunque, “banalizzando ed estremizzando al tempo stesso, il ragionamento di fondo di queste armate Brancaleone di giovani esangui era il seguente: piuttosto che finire nell’istituto professionale dove un’aula è adibita all’insegnamento dell’uso della lima, piuttosto che giocare a boccette con il capo officina il venerdì sera fumando MS con la Golf Turbo Diesel parcheggiata fuori, meglio crepare prima, come Jim Morrison, Janis Joplin, Jimi Hendrix, Sid Vicius… Se non era possibile emularli nel talento li si poteva emulare almeno nelle cattive abitudini fino alla morte, anche se il concetto di morte per una adolescente risulta piuttosto remoto e inconsistente, per questo più che di un istinto suicida parlerei di inconsapevolezza della morte, una sfida al buio”. C’è però, ammette l’autore, “un punto di contatto tra SanPa e ‘Finta pelle’, sta in una testimonianza che forse è passata sotto traccia rispetto ad altre, a quella di Delogu e Cantelli, è un ragazzo di Sassuolo che dice semplicemente che lui vedeva solo due direttrici nella sua vita: finire nella fabbrica di piastrelle (Sassuolo era la capitale mondiale delle piastrelle) o perdersi nell’eroina. E ha scelto la seconda. Addirittura in ‘Finta pelle’ Ale67 arriva a dire che se l’overdose è una morte, per certi versi anche il contratto a tempo indeterminato lo è. È una provocazione, è la parte profondamente scorretta che percorre il libro”.

I tossicodipendenti del libro sono descritti quasi con tenerezza, anche se soprattutto nella parte finale, viene fuori in qualche modo la loro ferocia.

“Non si tratta- risponde Fattori- di una ferocia che si fa violenza verso il prossimo, quasi mai il tossico era intrinsecamente pericoloso, poteva certo diventarlo in determinati momenti di disperazione, le crisi di astinenza possono essere durissime, ma l’eroina toglie la forza vitale del giovane, quindi lo addomestica in qualche modo, lo rende innocuo, indebolisce il corpo e lo spirito. Io tratteggio vari personaggi, ognuno con una personalità leggi tutto l’articolo sul sito della fonte

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